I confini metaforici che vengono fuori confrontando le opere d’arte, non di rado distanti nello spazio, individuano regioni culturali più che geografiche. È il caso della cosiddetta «Umbria alla sinistra del Tevere»: il termine, coniato dallo storico dell’arte Giovanni Previtali, descrive il filo rosso che ha unito questa zona dell’Umbria all’Abruzzo durante la fine dei secoli XIII e XIV, toccando uno dei capitoli più belli e fecondi del nostro Medioevo: la scultura lignea.
L’area di cui stiamo parlando era a sua volta lambita dalla cosiddetta «Via degli Abruzzi», un tragitto commerciale, diplomatico e militare che da Napoli portava in Toscana passando per la nostra regione, e che vide in epoca angioina (dalla fine degli anni sessanta del Duecento in avanti) il suo momento di maggior traffico. Intorno a questo itinerario che dobbiamo immaginare come una serie di tratturi e sentieri d’erba, frequentato anche da non pochi banditi, si generò una contaminazione artistica che investì in pieno i rapporti tra l’entroterra abruzzese e quella parte dell’Umbria che ci interessa e che riguarda, ad esempio, Spoleto ed Assisi (la Basilica di San Francesco ad Assisi, contenitore di tante novità gotiche, sarà un importante modello per gli artisti abruzzesi).
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Madonna col Bambino e Storie di Cristo (prima del furto del 1979) (fonte foto: Delpriori 2015)
I maestri (scultori e pittori) che lavorano nei due territori, al di là delle loro differenze cronologiche o di stile, dimostrano una condotta simile per quanto riguarda l’aspetto tecnico e materiale. Nella scultura li accomuna la predilezione per un materiale fragile e tradizionalmente considerato umile: il legno, che lavorano coinvolgendo la pittura. Singolare è il fatto che i maestri, fino al primo Quattrocento, si dedichino quasi esclusivamente alla creazione di un’unica tipologia di pala d’altare diffusissima in queste zone: il trittico o tabernacolo ad ante richiudibili con una scultura lignea al centro (ora la Madonna col Bambino, ora il santo titolare), rinunciando invece al più toscano trittico a tre scomparti dipinti, come testimoniato dagli esemplari presenti presso il Museo Nazionale d’Abruzzo (MuNDA) a L’Aquila o il Museo della Marsica a Celano.
Nel realizzare una scultura di questo tipo i maestri locali osservano tre fasi di lavoro: all’intaglio iniziale segue la preparazione di uno strato in gesso e colla idoneo alla modellazione delle parti più aggettanti, la fase finale prevede invece l’attribuzione di una veste pittorica all’oggetto. Quest’ultima costituisce il momento decisivo della creazione poiché contribuisce ad un’ulteriore definizione dei volumi e determina la caratterizzazione delle figure: i capelli, ad esempio, rappresentano un effetto quasi esclusivamente pittorico. A suggello si inserivano tutte quelle finiture polimateriche a cui i committenti del Medioevo erano affezionati: elementi in foglia d’oro, argento o stagno, perle e gemme.
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Esempio eccelso di tabernacolo è la Madonna di Fossa, proveniente dalla chiesa di Santa Maria ad Cryptas, nella località aquilana di Fossa, e oggi presso il MuNDA: una regina vestita alla moda del tempo che con la mano sinistra regge lo spiritoso Bambino benedicente mentre con la destra impugna un piccolo scettro. Il modello del gruppo potrebbe ravvisarsi nella Madonna del monumento funebre di Filippo di Courtenay (vedi immagine sopra), ancora in Umbria, nella Basilica Inferiore di Assisi.
Tornando alla Madonna di Fossa, la cassa che oggi vediamo, all’interno della quale è inserita la scultura, è in realtà solo la parte centrale del tabernacolo originario, che comprendeva anche gli sportelli, aperti in occasione delle festività religiose, quando la statua veniva ostesa ai fedeli. Le due ante, in cui è raffigurato un ciclo cristologico formato da sei episodi (vedi immagine sopra, nel pannello alla nostra sinistra sono rappresentati gli eventi legati all’Infanzia mentre a destra quelli inerenti alla Passione), furono trafugate nel 1979, divise e vendute come singoli quadri nel mercato antiquario. Per questa ragione oggi appare stravolta la percezione che di questo manufatto dovettero avere gli spettatori nel Medioevo: quella di essere davanti a un vero e proprio reliquiario, dove la scultura centrale, incassata e affiancata dai pannelli dipinti, doveva apparire quasi bidimensionale, più pittorica che scultorea.
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L’artefice dell’opera mariana, verosimilmente umbro, è da individuarsi nel Maestro della Madonna di Spoleto, che prende il nome dalla scultura lignea della cattedrale spoletina, anch’essa inserita all’interno di un tabernacolo. Anche se quella dell’autografia è una questione ancora oggi aperta, la presenza nella città umbra di un’opera che per affinità compositive e stilistiche (quasi identica la posizione delle figure, non dissimili i lineamenti dei volti dei personaggi, il modo di disporre il panneggio e le scelte cromatiche) possiamo collegare alla Madonna di Fossa, è un elemento in più a favore di quella metaforica via delle arti che dall’Umbria porta in Abruzzo e viceversa.
A cura di Diana Sainz Camayd
INFO UTILI
MuNDA
Orari: dal martedì alla domenica 8:30-19:30
Per info 086228420
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NELLE VICINANZE
Fontana delle 99 Cannelle
Sempre aperta
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Chiesa di San Vito
Per info 0862410808
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BIBLIOGRAFIA E/O SITOGRAFIA
– De Marchi A., 2009, La pala d’altare. Dal paliotto al polittico gotico, Art & Libri, Firenze.
– Delpriori A., 2015, La scuola di Spoleto. Immagini dipinte e scolpite nel Trecento tra Valle Umbra e Valnerina. Quattroemme, Perugia.
– Gasparinetti P., 1967, La Via degli Abruzzi e l’attività commerciale di Aquila e Sulmona nei secoli XIII-XV, Fratelli Palombi Editori, Roma.
– Pasqualetti C. (a cura di), 2014, La Via degli Abruzzi e le arti nel Medioevo (sec. XIII-XV), One Group Edizioni, L’Aquila.
– Previtali G., 1997, Studi sulla scultura gotica in Italia. Giulio Einaudi editore.
Un pensiero su “LA MADONNA DI FOSSA E LA VIA CHE DALL’ABRUZZO PORTA A SPOLETO”